TAGLIO DEGLI STIPENDI.

E' illegittimo se attuato nei confronti dei soli dipendenti pubblici.

 
La già nota sentenza n. 223/2012 della Corte Costituzionale è stata criticata da più parti perché avrebbe “salvaguardato” i privilegi dei Dirigenti pubblici e dei Magistrati annullando le riduzioni dei loro stipendi previste dal decreto legge del 2010.

Non la penso allo stesso modo.

A mio avviso, invece, bisognerebbe ringraziarli tutti per aver sollevato, nei termini e modi dovuti, le suddette questioni che hanno determinato l’affermazione di principi giuridici valevoli anche per gli altri dipendenti pubblici interessati dai tagli disposti dal citato decreto.

Non posso, per l’appunto, non ricordare come sia stato merito unicamente di un magistrato (contabile) – tal dr. Chiappiniello Agostino – che ha sollevato la questione dinanzi al T.A.R. dell’Umbria, se la Corte Costituzionale ha ritenuto illegittima la rivalsa del 2,50% operata dall’INPDAP a carico dei dipendenti del pubblico impiego: a Lui e agli altri Suoi colleghi magistrati va riconosciuto il merito di aver eliminato un ingiusto prelievo a carico dei predetti dipendenti!

E parimenti interessanti, a mio avviso, sono le motivazioni che hanno determinato la Corte Costituzionale – redattore dr. Giuseppe Tesauro – ad accogliere le tesi dei Giudici rimettenti riguardo al taglio degli stipendi dei dirigenti pubblici.

Tale taglio, ad avviso della Consulta, non consiste in una mera riduzione del trattamento economico, ma introduce un vero e proprio prelievo tributario a loro carico. Non si è di fronte ad una mera modifica (unilaterale?) della disciplina del rapporto di lavoro, ma ad un vero e proprio tributo: un prelievo previsto autoritativamente a carico del dipendente pubblico e a favore dello Stato, con l'obiettivo di diminuire il debito pubblico. Secondo i Giudici, invero, la normativa non può considerarsi tesa ad una riduzione delle retribuzioni, ma istituisce un'imposta speciale prevista nei confronti dei soli pubblici dipendenti. E tutto ciò, viola il principio della parità di prelievo a parità di presupposto d'imposta, poiché tale imposizione è ingiustificatamente limitata ai soli dipendenti pubblici. Anzi, secondo la Consulta, l’obiettivo del risanamento del debito pubblico avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato laddove il Legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica, anche modulando diversamente un generale intervento impositivo. L'eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare è suscettibile senza dubbio di consentire al Legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali. Tuttavia, è compito dello Stato garantire, anche in queste condizioni, il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, il quale, certo, non è indifferente alla realtà economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non può consentire deroghe al principio di uguaglianza. Pertanto, sentenzia la Corte, il tributo imposto determina un irragionevole effetto discriminatorio, poiché le disposizioni che lo prevedono si pongono in evidente contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, dove è sancito che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e sono tenuti a concorrere alla spesa pubblica in ragione della loro capacità contributiva. Nella sentenza, quindi, si precisa che l’introduzione di un’imposta speciale, sia pure transitoria ed eccezionale, in relazione soltanto ai redditi da lavoro dei dipendenti pubblici viola il principio della parità di prelievo a parità di presupposto d’imposta economicamente rilevante.

Ma se così è stato deciso come si può non pensare alla (sempre contestata) legittimità del c.d. Tetto Salariale che ha colpito un’altra fetta del pubblico impiego?

Il problema me lo sono posto e penso di aver trovato una soluzione. A presto!

Con viva cordialità.

Roma, 19 ottobre 2012

Avv. Roberto Mandolesi